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m002_review


da musicboom
se si cerca un senso all’espressione lo-fi lo si può trovare in questo cd-r di felipe. la prima traccia (3:28) vanta 3 o 4 tentativi di partenza, prima di sviluppare 3 note di organetto. la seconda traccia (1:43) consiste in una serie di rumori scratchati e via via sempre più scuri. in teenage funclub (during a sunday afternoon) compaiono addirittura chitarra, voci e una amorevole struttura da indie-pop song, veramente apprezzabile. l’altra canzone inclusa nel cd è honkytonk hardcore lovers che mette a nudo una capacità di scrittura notevole a cavallo tra mark linkous e i grandaddy. il resto sono positive accozzaglie, divertissement divertenti, pazzie sonore e cartoni animati. felipe fa tutto da solo, lo immagino recluso in qualche angolo nascosto a giocare con i dischi vecchi, le pentole e il servizio buono (4:26). e’ musica questa? e’ più grandioso o odioso? e’ rumore? arte? gioia? tristezza? rutti? meraviglie? tutto e niente. anarchia e ordine. c’è molto di buono in quello che fa felipe. c’è improvvisazione vera e finta messa lì per incasinare le cose. ecco: il gusto di incasinare le cose è quello che porta la musica di felipe dallo status di passatempo a quello di grandiosità. chissà se è quello che felipe vuole… giudizio overall: 3 bombette su 5. boom says: impegnativo e incasinato alessandro mattiuzzo

da blow-up (giugno 2001)
la one-man band felipe preferisce invece una domestic release degna dei vaneggia-menti più ostici di robert pollard. bassa fedeltà come credo sonoro, poche idee, briciole di paraelettronica e due microscopici pezzi (teenage funclub during a sunday afternoon e honky tonk hardcore lovers) affogati in cotale accozzaglia di suoni. fuori tempo massimo. (5) riccardo bandiera

da rockerilla (novembre 2001)
non altrettanto buona, invece, è l’impressione suscitata dai felipe. la poetica della bassa fedeltà portata alle estreme conseguenze tra scarti elettrici, scorie digitali e interminabili improvvisazioni noise, infatti, finisce per stancare ben presto e i tredici brani contenuti nell’album affogano senza pietà in un mare di noia che non di rado sconfina in un’autentica inascoltabilità. (5) maurizio marino

da aktivirus
un pauperismo sonoro estremo caratterizza, invece, l’omonimo esordio di felipe. volendo parlare per immagini, il cd in questione suona come un nastro piovuto da chissà quale satellite artificiale e ritrovato in una pozzanghera della periferia industriale di una metropoli, tanto è l’alienato senso di desolazione che comunica. nelle tredici composizioni (numerate progressivamente) il nostro si districa fra manipolazioni di nastri, synth (pochi, invero) e chitarre tratteggiando un ambiente domestico ma affatto piacevole, ricco com’è di malinconia e isolamento. la monotonia delle composizioni e la totale assenza di “fedeltà” nelle registrazioni non gioca a favore del risultato, il cui ascolto si rivela stancante e, parecchie volte, noioso. (5/6 scarso) lorenzo brutti

da uozap
un discorso a parte va fatto per felipe. si tratta di un lavoro eterogeneo in cui vengono alternate sperimentazioni chitarristiche ad altre più vistosamente elettroniche, con tre ballate voce e chitarra alla will oldham registrate praticamente in mono. un lavoro per orecchie curiose, quindi; i tipi di °marsiglia° sono stati coraggiosi, ognuno può trovare la propria direzione nel disco: io ogni volta ci rimango male per il basso numero di ballad e aspetto con curiosità il nuovo lavoro di felipe che, intanto, da progetto solista è diventato una band. max zambetta