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EP
Marla



01. Feel stupid like a devil with an icecream
02. Rubber biter song
03. Flaubert, don’t play guitar


°M°011 – 06/2002



Reviews

trasmessi da john peel (rip) sul suo storico programma alla bbc.

da kronic.it (settembre 2002)
a volte c’è più curiosità per delle uscite discografiche “minori” rispetto a presunti capolavori di artisti già affermati. i motivi sono diversi: il desiderio di comprendere l’eventuale evoluzione di una formazione ancora “nascosta”, affinità musicali con il genere in questione, oppure la certezza di trovare un album effettivamente superiore a tanti altri. spesso domina uno solo di questi aspetti, ma con i marla non ne rimane escluso nessuno: evoluzione, affinità sonora e la consapevolezza di trovare un ottimo lavoro. avevo pochi dubbi anche su quest’ultimo punto e l’ascolto del nuovo ep dei ragazzi di pavullo ha provveduto immediatamente ad eliminare anche quelle vaghe, e doverose, titubanze. quelli di voi che hanno avuto la fortuna di ascoltare “il rimpianto ep” immagino avessero intuito sia le notevoli potenzialità del gruppo, sia alcune pregevoli intuizioni che non avevano avuto modo e spazio di realizzarsi compiutamente. sin da alcuni concerti estivi era percepibile un progressivo avvicinamento a una scelta strumentale basata su composizioni più lunghe, caratterizzate da arpeggi di chitarra inizialmente delicati e poi destinati ad evolversi in improvvise, ma mai casuali, esplosioni. i tre episodi in questione evidenziano questo percorso, in cui l’approccio melodico non viene abbandonato, ma fatto risaltare dall’incessante ripetizione di trame sonore tendenti a divagare per poi ritornare ad un ipotetico, seppur mai concreto, punto di partenza. una batteria ben definita diventa la struttura portante, in cui gli intrecci fra le chitarre disegnano malinconici schizzi sospesi, dove non sfigurano alcune intrusioni rumoristiche o quelle di rari intervalli elettronici. parlare di canzoni appare fuori luogo, i marla, seppur non ancora compiutamente, realizzano suite sonore dilatate vicine ad una sfera ambient, ricreando con dovizia atmosfere che, anche nei momenti più rabbiosi, appaiono intrise di una dolcezza di fondo, un po’ come se l’irruenza degli explosions in the sky si addentrasse nel rumoroso silenzio dei sonna. certo, la scelta strumentale del gruppo farà dire a molti l’ormai scontata frase: ”il solito gruppo post rock…”, ma, credetemi, sarebbe un errore: all’interno di un genere sicuramente in espansione, i marla possono ritagliarsi senza problemi uno spazio autonomo ed importante. marco delsoldato

da rumore (dicembre 2002) demo del mese.
finalmente sono tornati! chi cazzo è tornato? ma i marla…che a parte un inizio citazionista un poco datato e rubato a pet sound, sparano le loro 4 e ripeto 4 songs in maniera impeccabile. i marla scusate l’ovvietà, suonano del bellissimo rock strumentale, infarcito a tratti di dolcezze devianti dal vago sapore free o di inserti musicali classici. sono abili musicisti e non ti danno scampo, sei costretto ad ascoltare per intero i loro brani. per ciò non mi resta che copiare quel gigione di mio zio zombie kid e raccomandarvi di comperare il loro demo.oppure semplicemente di contattarli per portarli a suonare in casa vostra. vi assicuro che anche il vostro babbo apprezzerebbe!

da rockerilla
dev’esserci qualcosa, nel dna dei musicisti emiliani, che richiama inevitabilmente alle ambientazioni eteree e cerebrali del post-rock. dopo i giardini di mirò e i votiva lux ecco i marla da modena che, tra progressioni chitarristiche reiterate, elaborati giochi elettronici e rasoiate che sfiorano il rumor bianco, riescono a non far rimpiangere le nenie soniche dei mogwai e danno vita a tre lunghi brani dove mettono in luce una notevole perizia strumentale ed una discreta abilità mpositiva. basterebbe solo un pizzico di personalità in più per essere perfetti, ma siamo sicuri che ci sarà tutto il tempo per crescere. maurizio marino

da freakout
dal cappello magico della marsiglia records (ultra-underground-indie-label nazionale) escono fuori i marla, a rivendicare un (meritatissimo) posto di rilievo nel panorama indipendente italico. tre brani che ad indefiniti frammenti “ambientali” alternano portentose sfuriate soniche: emozionanti “crescendo” dal sapore “epico”, nella migliore tradizione di band come mogwai o godspeed you black emperor!. e ancora: inserti di musica elettronica, arpeggi delicati e sbalzi d’umore espressi da un suono che da lieve e sussurrato diventa prima corposo e nervoso, e poi aggressivo, tagliente e teso. i marla cercano di aggirare gli incombenti cliché del genere. non sempre ci riescono, ma le premesse perché la ricerca di uno stile personale dia buoni frutti ci sono tutte. daniele lama

da sodapop 4/6
gli emiliani marla colpiscono per la perizia e l’inventiva della loro formula nei tre brani qui contenuti. il loro è un post rock sorretto da una sezione ritmica possente e precisa che si evolve in repentini cambi di tempo, al cui interno le chitarre trovano spazio per delineare metriche free alternate a picchi degni dei motorpsycho (flaubert, don’t play guitar). in questo ep della durata di circa venti minuti la band tesse un’insidiosa e incalzante ragnatela che riesce abilmente a schivare l’artificiosità e la maniera, avvolgendo anche l’ascoltatore più prevenuto nei confronti di queste sonorità. insomma, un altro gruppo di qualità from matteo casari’s happy bunch.

da hate tv
i marla mi son simpatici. non so perché. tra i tanti significati che rientrano sotto al termine idiosincrasia, figura anche questa cosa qui. questo cd comincia con qualcosa tipo una macchina che s’avvicina e lascia il posto a una batteria elementare. in più ci sono due chitarre e un basso. con ottime idee. siamo in ambito post-rock. tutto strumenti. il primo pezzo, sulla batteria elementare, lascia ammorbidire due trame di chitarre sottili (ma il suono è un po’ troppo elastico, strozzato, non ben lineare e sinuoso, no, sono due suoni di pulito come se gli si togliesse l’ossigeno subito dopo la pennata, non sopravvivono, non respirano, appunto: strozzati), il basso sta dietro. sui 2’40” si elettrizza tutto ma senza grassi vegetali, con ottime scelte di fraseggi implementari (ma questi suoni di chitarra elettrica…così esili, acidelli ma non a tal punto da dire malati, un po’ intasati di medio alte, questi suoni di chitarra così…gracili…). poi tutto ritorna pulito e cresce fin verso il finale dove la canzone finisce. qualche suono spazio-stellare sguazza liberamente nell’etere e solletica il secondo incipit a suon di noise e batteria filtrata. però l’attacco risulta smorzato, come se non gli fosse riuscito di legare i due pezzi: non ho ben capito. il secondo pezzo parte molleggiato. la batteria più incalzante, molto belle, anche in questo caso, le scelte delle melodie, circolari, flessuose, ottima palestra mattutina. qualche stacco mi sembra più faticoso degli altri, ma la canzone gira ottimamente. ora: io questa canzone l’ho sentita anche dal vivo. “ruber biter song” dal vivo è un’altra storia. e adesso mi sento in dovere di aprire un inciso. sulle recensioni.##si recensisce perché c’è qualcuno che ha deciso di esporsi. chi crea si espone. è inevitabile. quando metti al mondo una cosa la inserisci in un contesto. la piazzi, bella bella, sotto gli occhi altrui. e costringi gli altri a reagire. perché occupi dello spazio. ed è inevitabile che qualcuno abbia qualcosa da dire – e ridire. questi sono i recensori – e pure tutti gli altri. perché metti sul mercato più che un’opinione, più che un sentimento (che risulterebbe, tra l’altro, ingiudicabile), metti più di una visione del mondo. metti una cosa con un inizio e una fine. e per questo metti tutto. e il tutto deve urtare, dar fastidio anche. ma nel momento in cui fai quest’opera di molestia totale devi anche accettare. chi crea si espone, e chi si espone ha il dovere di subire. sono regole. non si scappa. ora: qua non si giudica nessun messaggio, tantomeno persone o modi di fare. si giudica nel modo più impersonale (che risulta, ipso facto, uno dei più personali) un prodotto. di per sé. fine parentesi.## l’attacco elettrico verso i 3’30” mi lascia un sapore un po’ troppo epico. avrei invece enfatizzato di più il noise dopo i 4’00”. e abolito il raddoppio di tempo seguente. quando entra la voce sul finale fa piacere. ma dal vivo, questi marla, coi due chitarristi che suonano uno di fronte all’altro, come un western, un duello, hanno tutto un altro pathos. garantito. in negativo: la batteria non regala certo un eccesso di sfumature, diciamo che fa il suo dovere, niente di più. il basso dovrebbe, forse, gestire un po’ di più la base e avviarsi un po’ (ma un po’, sia chiaro) meno verso i fraseggi sulle alte. le chitarre districano rivoletti ameni, un amalgama eterogeneo ma che lascia la sua sapida striscietta di bava che, al sole, non può far altro che diventare luminosa. credo sia un buon inizio. bo. h-capra

da rockit
mi sono già occupato dei marla in passato, in particolare quando ho recensito sempre su queste pagine il loro cd d’esordio. al tempo non ero rimasto molto entusiasta e avevo anzi sottolineato come in quel disco non ci fossero sussulti particolarmente emozionanti. mi sembra giusto quindi mettere subito in evidenza che con questo secondo episodio i modenesi dimostrano di essere migliorati molto nella definizione della loro musica. se ne è accorta anche la marsiglia records che ha prodotto questo cd, un disco breve (tre pezzi per venti minuti) ma ce n’è a sufficienza per lasciare il segno e non tanto da stancare. a parte qualche voce nell’ultima parte di “flaubert don’t play” si tratta di musica strumentale che guarda al rock indipendente degli ultimi anni, in particolare a gruppi come mogwai o karate. “feel stupid like a devil with an ice-cream” parte con un ritmo jazz e si lascia andare a un finale con violoncello e sonorità sintetiche. “rubber biter song” ha il sapore dei tortoise, ma ad un certo punto si allontana in un ambito cameristico portato alla deriva da campioni di batteria, squilli di chitarra e da un pianoforte altisonante. chi frequenta i lidi consueti del post-rock troverà probabilmente poco da aggiungere in questo cd. ma più dell’originalità valgono le capacità di scrittura, l’equilibrio intrinseco di tutti i brani e un’esecuzione sottovoce che lascia da parte gli autocompiacimenti per concentrarsi sulla sostanza. max osini

da idbox
arpeggi, tensione crescente, melodie malinconiche. tutto rigorosamente strumentale. i marla, “from pavullo nel frignano (modena)”, hanno avuto l’onore di vedere (sentire?) lo scorso 25 febbraio un loro pezzo, “feel stupid like a devil with an ice cream”, nel programma radio di john peel. per i profani: bbc. niente male per un gruppo che ancora non ha inciso un disco vero e proprio. questo ep, infatti, è pubblicato da °marsiglia°, l’etichetta di cd-r gestita da matteo casari dei lo-fi sucks. e il suono del disco, in effetti, risente molto dell’approccio artigianale. poco curato, per necessità più che per scelta. giri e giri di parole ancora non hanno focalizzato il punto principale: com’è questo lavoro? acerbo. si nota qua e là una ricerca compositiva che vuole evitare le paludi del “già sentito”. non sempre però riesce nell’intento. ancora manca quello slancio stilistico che dia valore agli sforzi della band. il progetto marla, insomma, è un diamante grezzo. bisogna lavorarci su. solo così la pietra acquisterà valore. e brillerà di luce propria. manfredi lamartina

da post-it rock
ero curioso di ascoltare i marla da tempo, a maggior ragione da quando il loro ultimo ep cadde nelle mani di matteo casari che decise di inserirli nella scuderia di marsiglia rec. li contatto e nel giro di pochi giorni ho il piacere di inserire il cd nel lettore…mi affaccio alla finestra per richiamare il mio cane che abbaia, ma lui è in casa che alza le orecchie e osserva le casse dello stereo appese…inizia così il nuovo ep dei marla, con dei cani che abbaiano; dei passi sulla ghiaia; il suono di un fiammifero che accende forse una sigaretta e una macchina che passa sulla strada…il tutto con un ottimo effetto stereo. intanto la batteria detta il ritmo sul “ride” e le chitarre e il basso si intrecciano, si inseguono e poi si allontanano…come la scuola del post-rock insegna. si trova piacere ad ascoltare quel poco di elettronica ed effettistica ben dosata e inserita nei punti giusti che non rompe le costruzioni quasi matematiche del trio. l’inizio di “flaubert, don’t play guitar” mi fa ricordare con quel basso effettato dal chorusi vecchi cure in una nuova veste, che non gli sta neanche male…solo 3 brani per questo ep con 20min di musica ben suonata, che forse suona un po’ troppo post, con i suoi arrangiamenti classici, ma che fa sperare molto bene… gianmaria aprile

da musicboom
nel totale rispetto di una tradizione a cui ci ha già deliziosamente abituati, la marsiglia records, etichetta di cd-r gestita da matteo casari dei lo fi sucks, ci propone un altro prodotto straordinario per qualità e valore della proposta. si tratta dei marla, quartetto proveniente dall’appennino modenese che, dopo aver pubblicato nel 2001 l’ep il rimpianto, torna meritatamente agli onori delle cronache con un altro mini-album, intitolato semplicemente marla ep, che è a dir poco spiazzante per la bellezza, il gusto e la ricercatezza che contiene in sè. i tre brani strumentali contenuti nell’album si attestano in un filone che definirei a metà strada tra il post-rock e la noise dalla quale sono prese in prestito alcune brillanti, e comunque estremamente originali, intuizioni. la struttura complessa dei brani lascia dondolare l’ascoltatore tra arpeggi di chitarra morbidi e delicati che lasciano poi spazio a squarci improvvisi e devastanti o ad imprevedibili accelerazioni; le ritmiche sono geniali nella loro quasi assenza di linearità, le dinamiche sono sempre ben regolate e nessuno dei tre brani, nonostante la durata abbastanza consistente, risulta mai stancante. al contrario questo marla ep si ascolta con una buona dose di piacere e riesce a coinvolgere, a stupire, a imbrigliare con le sue strette maglie sonore, ad emozionare con le sue laceranti aperture, ad amalgamare i pensieri con i suoi malinconici chiaroscuri. e consente al quartetto modenese di guardare al futuro con fiducia ed ambizione. luca d’alessandro

da giardini sonori
tra un abbaiare sorpreso e una macchina che sfreccia si apre l’ep dei modenesi marla, band strumentale che si sta distinguendo nell’ambiente underground nostrano. feel stupid like a devil with an icecream (oltre ad avere un titolo alquanto esplicativo) è il brano di partenza e si coglie in maniera subitanea la propensione naturale del gruppo alla ricerca di un proprio habitat, dissimile dell’usuale ambiente del cosiddetto post-rock(?). a seguire esplode rubberbitersong, canzone dalle melodie che ricordano i paul newman (la band non l’attore…) ma con una ritmica molto sostenuta che sorregge quando deve e sa ritrarsi correttamente per lasciare spazio ai dialoghi armonici conclusi da un pianoforte furioso. conclude degnamente questo ep flaubert don’t play guitar, suite costruita con incastri di arpeggi gentili e fondali di suoni rarefatti. obiettivamente questo lavoro dei marla è da considerarsi molto buono sia per l’impatto sonoro che per l’approccio compositivo anche se, in maniera del tutto personale, ritengo che il maggior pregio della band sia la già menzionata attitudine alla ricerca di un suono mai scontato, mai incolore, mai bugiardo. lele

da benzoworld
e’ un post-rock sui generis quello proposto dal gruppo modenese dei marla, fatto di sonorità incisive e labirintiche, avvolte da una malinconia mai occludente, che spesso sfocia in aperture solari, pur mantenendo sempre una certa compostezza. i 3 pezzi che compaiono in questo demo rivelano influenze di gruppi come motorpsycho, in particolare in alcuni stacchi di “rubber biter song” (veramente ad effetto la parte finale con synth minimale, alternato alla chitarra!!) e nel crescendo di “feel stupid like a devil with an icecream”, ma anche di june of ’44 e karate; vi è infatti, una predominanza di suoni puliti e rotondi:altre fonti d’ispirazione per il gruppo sono i “primi” giardini di mirò, cui si rifà in parte “flaubert, don’t play guitar” nel fraseggio di chitarra. lodevole il lavoro di ricerca, che porta i marla ad utilizzare soluzioni stilistiche tutt’ altro che banali, discostandoli dalla miriade di gruppi emergenti che si affacciano sulla scena indie-post-rock italiana.

da munnezza – dedication
“il rimpianto ep”, il cd sfornato dai marla lo scorso anno, era stato uno dei demo a colpirmi di più in assoluto: un lavoro morbido, delicato, quasi etereo, eppure penetrante ed efficace come poche bands italiane al momento erano (e sono) in grado di concepire. per il nuovo disco edito dalla marsiglia records – la home-label di matteo casari dei lo-fi sucks! (rigorosamente cd-r, splendido in questo caso l’artwork fatto con fogli di lucido) – la ricetta a prima vista non è cambiata: sempre post-rock totalmente strumentale di ottima qualità che si spalma su una ventina di minuti nella forma di tre lunghe tracce dai titoli curiosi e colme di sensazioni contrastanti. stavolta, però, si scorge una maggiore tensione, che si traduce in suite leggermente più nervose e ritmiche più dinamiche e perentorie e che a tratti portano il sound a lambire persino lo stile dolce eppure aggressivo e matematico dei volubili juno. si finisce spesso anche in territori quasi noise-pop, quelli esplorati dai primi mercury rev, ma non vengono dimenticate le suadenti e sempre nostalgiche armonie che avevamo apprezzato nell’onirica psichedelia de “il rimpianto”. in più, i modenesi si lasciano stuzzicare (con moderazione) dalle diavolerie che l’elettronica fornisce alla causa della musica (rumori, inserti, groove, campionamenti) e si divertono a giochicchiare persino con la classica (vedi il ghiribizzo di piano nel finale di rubber biter song e gli archi – sintetici? – in feel stupid like a devil with an ice cream). “marla” è una convincente opera di transizione, dunque, che conferma il talento del quartetto e prepara il terreno all’affermazione definitiva di una nuova grande realtà della sempre più interessante scena indie/post-rock nazionale: parliamo naturalmente del primo full lenght, che da oggi possiamo cominciare ad attendere con rinnovata fiducia. nel frattempo, fareste bene a procurarvi entrambi i compact finora realizzati dall’ensemble emiliano e a tenere d’occhio i loro prossimi spostamenti.

da mucchio selvaggio
radicale cambio di atmosfere con i marla, che nell’omonimo dischetto allineano tre tracce decisamente più vicine alla ricerca e al post che non alla forma-canzone, tant’è che la voce fa solo una brevissima apparizione. non mancano, in questi solchi, i classicismi, così come alcune soluzioni lontanamente imparentate con il jazz e, naturalmente, quelle sfuriate elettriche che costituiscono una delle caratteristiche principali del genere in questione. genere nel quale l’ensemble modenese, forte di una tecnica e di un gusto invidiabili, non fatica a trovare un proprio spazio, creando un caleidoscopio di suoni che avvolge e coinvolge l’ascoltatore senza fargli troppa violenza in una gustosa alternanza di stati d’animo e strumenti (chitarre, basso e batteria, naturalmente, ma anche effetti elettronici, drum-machine, pianoforte e fiati). nell’insieme un ottimo lavoro, come nella tradizione dei cd-r marchiati marsiglia records. aurelio pasini